I miei ricordi su don Fermo Querin risalgono ai prima anni ’90 quando divenne Assistente unitario dell’Azione Cattolica diocesana. Erano anni ancora floridi per l’AC, con numeri significativi soprattutto di ragazzi, giovanissimi e giovani. Gli educatori e gli animatori affollavano gli incontri di formazione e i campi scuola, ma stava diventando sempre più evidente che serviva cambiare più di qualcosa nell’impianto formativo e associativo. Come responsabili associativi eravamo mediamente consapevoli del rinnovamento a cui dare corso e che non potevamo fare spallucce vivendo di rendita per una manciata di anni ancora. Dico mediamente per dire che all’interno dell’Associazione le piste di lavoro erano diverse e le priorità non erano avvertite in uguale misura.
Provvidenziale fu l’arrivo di don Fermo perché il processo di innovazione subì una accelerazione. All’inizio non furono rose e fiori. D’altronde si sa che anche le rose più belle tengono spine acuminate. Alcuni giudizi e la richiesta di cambiare rotta, talvolta in modo deciso, alimentarono confronti dialettici senza infingimenti. E’ vero, lo sguardo di don Fermo Querin poteva diventare severo e poco incline a lasciar correre quando la superficialità si insinuava in una discussione, in un lavoro di gruppo, in un momento di preghiera, nella lettura della Parola, nella redazione di un volantino. Alle volte poteva risultare ruvido e diretto nell’espressione del proprio giudizio ma l’intenzione era sempre finalizzata a cavar fuori il meglio di ognuno perché Dio ci ha donato il bene prezioso della vita da non sprecare, men che meno da banalizzare con scelte accomodanti. In particolare, ci aveva spronato a considerare la missione dell’Azione Cattolica come fondamentale per la Chiesa diocesana ma a condizione che la qualità dell’azione educativa, pastorale e sociale fosse sempre all’altezza della nostra grande storia associativa.
Non era perfezionismo il suo, piuttosto il modo di vivere senza riserve e scorciatoie la fede e la sua vocazione di prete. Sì, era un prete tutto d’un pezzo, orgoglioso di esserlo, fedele alla Chiesa in tutte le situazioni (anche quando erano indigeste), nel contempo era un uomo capace di una straordinaria acutezza e libertà intellettuale, assieme ad una tenerezza e un’umana comprensione che non balzavano subito all’occhio.
Per me, laico cristiano impegnato in Azione Cattolica, il suo servizio come Assistente unitario è stato stimolante per rigore spirituale e creatività formativa. Quando divenni presidente diocesano dal 1998 al 2001 la frequentazione era quasi quotidiana. Non c’era ombra di dubbio per me: a don Fermo dei laici, del loro ruolo nella società civile ma anche nella Chiesa importava moltissimo. Non era soltanto a motivo della riduzione del numero dei preti diocesani che si ingegnava a prefigurare forme avanzate di responsabilità nella pastorale diocesana e parrocchiale da parte dei laici. In lui il fervore per il Vangelo e l’adeguatezza di noi laici era una priorità assoluta tanto quanto la crescita dei suoi confratelli per una Chiesa senza paure.
Per linguaggio e modo di riflettere sulle cose don Fermo dimostrava di possedere una cultura e una curiosità che andavano ben oltre il perimetro della teologia e degli studi umanistici. Capiva che il mondo elaborava modelli, metodi e strumenti che, opportunamente adattati al contesto, potevano apportare benefici alla Chiesa. Efficienza, efficacia, informatizzazione dei processi comunicativi, competenze, risultati erano termini che avevano diritto di contaminare quell’ecclesialese stretto che purtroppo alimenta ancora il clericalismo e quella forma di spiritualismo astratto che contraddice la vocazione all’incarnazione della fede che è essenziale al Cristianesimo.
La sua carità era concretissima e vissuta in prima persona. Ha fatto da padre a giovani in cerca di futuro, ha sostenuto economicamente, oltre che spiritualmente, singoli e famiglie bisognosi di aiuto. Ciò di cui sono a conoscenza è soltanto una minima parte di ciò che don Fermo è stato e di tutto il bene fatto fino all’ultimo giorno che il Signore gli ha dato da vivere. In lui ho visto sempre il cristiano che ha vissuto con passione il doppio comandamento dell’Amore a Dio e ai fratelli. La mia gratitudine per averlo conosciuto sarà sempre viva.
Giovanni Ghiani – presidente diocesano Azione Cattolica 1998-2001