Riprendere in mano gli appunti presi a un mese e mezzo di distanza è facile. Farlo cercando di trasmettere a chi legge le stesse sensazioni vissute invece non lo è, ma ci proviamo.
Appena i responsabili diocesani hanno esteso all’equipe ACR l’invito a partecipare al Convegno Nazionale per educatori a Roma (14-15-16 dicembre), ho preso in mano la mia agenda (digitale, che ben s’intenda) e ho goduto nel vedere che quel fine settimana non avevo né lezioni né altri impegni per cui non c’ho pensato un attimo di più e ho detto subito il mio “sì” a cuore aperto.
Tra un biglietto del treno in tasca e la paura di non vedere arrivare chi di noi aveva i biglietti della seconda tratta di viaggio, tra una colazione alle 10:30 di mattina al McDonald’s a base di patatine fritte e panino con doppio hamburger – e mi scusino tutte le mamme e nonne che, sapendolo, magari ci avrebbero preparato uno zainetto di leccornie friulane casarecce – e glicemia e diabete in forma di caramelle, biscotti e schifezze varie, beh insomma siamo arrivati a Roma in un attimo (nota a margine per appassionate: a Mestre è salito in treno con noi il bassista di Laura Pausini, giusto per dirvi che quando si fanno questi viaggi straordinari ti emozioni per qualsiasi cosa, anche per incontrare una persona che neanche conosci e della quale non ti ricordi il nome!).
Alloggiati alla Casa dell’Azione Cattolica Domus Pacis, ci siamo registrati alla hall e ci hanno riempito tasche e mani di materiali necessari al convegno, mentre sguardi luccicanti vagavano da un volto all’altro per godere del fermento che un evento così grande mette in moto nelle persone.
Insomma, tric e trac, nel giro di un’ora eravamo più di 600 o anche di più da tutta Italia seduti e pronti ad aprire la tre giorni con una celebrazione tenuta da Monsignor Gualtiero Sigismondi, assistente generale dell’Azione Cattolica Italiana. Dopo alcuni saluti introduttivi e le dovute spiegazioni sulla scelta del tema (Chiamati a scoprire il sapore. La cura educativa come vocazione), nei tre giorni si sono sentite personalità non indifferenti. Nonostante tutti i relatori siano stati degni di nota, vorrei riassumere gli interventi che mi hanno maggiormente colpito, cominciando da quello tenuto da Pierpaolo Triani, professore all’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ci ha parlato del gruppo a servizio della vocazione. Tre sono i punti su cui si è soffermato, in maniera molto didattica ma comprensibile. Primo, la vocazione si scopre nell’incontro con le persone, è un fatto personale ma non per questo individuale, perché la scelta educativa di ognuno ha ricadute sulla vita degli altri. Nessuno educa da solo e nessuno viene educato da una persona sola: ci si educa e si cresce insieme. Secondo, il gruppo non è una realtà magica benché sia forte, potente e delicata allo stesso tempo. In questo, i detti proverbiali come “chi fa da sé fa per tre”, “meglio soli che male accompagnati” ci fanno capire come realmente ogni gruppo sia costruito sulle delicatezze e sicurezze di ognuno. Attenzione quindi al cameratismo, perché esso non è vocazione dato che sparisce appena un membro del gruppo esce e si allontana, tende a imbrigliare, a dire cosa si dovrebbe fare e come si dovrebbe essere invece che amare l’altro così com’è. Terzo, il gruppo è decisivo nella vocazione delle persone perché è strumento per allenarsi alla comunicazione. In una logica di gratuità, comunicare significa uscire da sé facendo attenzione a non commettere l’errore di esprimersi e basta, perché c’è bisogno di comprendere l’altro, di essergli fedele, di fare fatica insieme.
Ecco allora che la vocazione esce nei limiti e nello stare costruttivamente nei limiti e nei desideri. È intervenuto anche don Luigi Ciotti: scusatemi se non scriverò molto ma ecco, è una di quelle personalità che ti portano a mettere giù la penna, a deporre pensieri terzi, preoccupazioni e distrazioni, e che catturano tutto te stesso. Una di quelle persone che non ti aspetteresti, all’apparenza distaccata e lontana ma di un’umiltà, di una generosità e di un carisma rari, che ascolteresti per ore senza accorgertene. Non credo abbia bisogno di presentazioni, se non riportandovi il senso di un racconto della sua vita da seminarista che poi gli ha aperto la strada portandolo a fare ciò che ancora fa oggi, combattere le mafie stando sulle strade. Che è proprio ciò che da giovane faceva, scappare di nascosto durante la notte per andare ad aiutare i poveri e i clochard. A lui il compito di aiutarci nella domanda che ci interroga su come nasca una vocazione al bene comune. Tenendo a mente chi è e cosa fa, leggete bene cosa diceva: «Sapere di essere fragili ci rende forti. Chi allontana e non accoglie la fragilità altrui, è fragile ma si crede forte. Come la nostra Italia, disgregata e impaurita. Bisogna intervenire nell’esistenza testimoniando i valori. Perché non abbiamo bisogno di un’etica nella professione, ma di un’etica come professione». A quanto pare, riflettendoci e ascoltando i tempi che corrono, siamo di fronte a un’emorragia di umanità e di memoria storica. Ho davanti a me, da qualche tempo, un segnalibro che recita: «La memoria non è ciò che ci ricordiamo, ma ciò che ci ricorda. La memoria è un presente che non finisce mai di passare». Appena passato il Giorno della Memoria, allora non ci basta più accorgerci che ci sono altri intorno a noi, ma dobbiamo sentirli dentro di noi, vivere con maggiore empatia perché corruzione, violenza e solitudine fanno paura a tutti.
Infine, Monsignor Domenico Battaglia, per tutti don Mimmo, ci ha raccontato le sue esperienze di incontro con le persone accompagnandoci a capire come la comunità cristiana possa essere terreno per le vocazioni al servizio educativo. Non riuscirei a riportare i suoi racconti perché, sono sincero, mentre lo ascoltavo ero emozionato a tal punto da rendermi conto che stavo piangendo, e con me tanti altri. Per don Mimmo e per la sua storia di incontri, i bambini sono il segno di Gesù che passa, che è presente nelle strade, nella quotidianità, e noi dobbiamo essere pronti a rispondere. Per trasmettere la passione di Dio, dobbiamo essere attraenti e non sedurre. Come farlo? Con tre verbi: accogliere, accompagnare, discernere. Ospitare negli occhi, onorare la persona in cui risuona una parola di Dio per me. Chiamare per nome, esserci. Fidarsi e scegliere da che parte stare. E tutto ciò parte e porta al verbo più grande: ascoltare! Tendersi verso ogni persona gratuitamente e incondizionatamente, entrare nelle parole e nella persona che così si sente umanizzata.
Tre giorni così intensi necessitano di molto spazio per essere scritti, letti e assaporati: la seconda parte del racconto vi attende nel prossimo numero!
In questa seconda parte del mio racconto vorrei provare a rielaborare questa esperienza di comunità. Tre giorni a Roma per ascoltare voci
che raccontano. Persone che trasmettono. Vite chiamate al servizio educativo. Semplicemente, vite. L'incontro nazionale per educatori di ACR è stata una grazia vissuta in comunione e, come tale, l'ho sentita davvero come un fatto personale perché ho potuto ricordare, fare memoria, dare slancio alla mia chiamata educativa. Essendo anche un educatore professionale in formazione, mi porto a casa la certezza più salda "non di un'etica nella professione, ma di un'etica come professione", come ha detto don Luigi. Davvero, non basta accorgersi che ci sono altri intorno a noi ma dobbiamo sentirli dentro di noi. Ai miei compagni di corso, con – passatemi il termine – un po’ di tenerezza paterna, piace ricordare in maniera simpatica che la “E” e la “P” di Educatore Professionale sono lì per dirci che dobbiamo ricordare a noi stessi di Essere Persone, con tutte e due le iniziali maiuscole, evidenziate, marcate, sottolineate, colorate e accalorate. La vocazione è in effetti una chiamata che va ascoltata, è una responsabilità, e non bastano competenza e professionalità, ma appunto anche umanità. È qualcosa da realizzare oltre ogni calcolo e convenienza. Sognate qualcosa e costruitelo. Si può fare. Trovate qualcosa che valga il vostro tempo. L'educatore è colui che sogna a occhi aperti, che si appassiona, che brucia senza consumarsi né consumare. Don Tonino Bello diceva che “solo chi si appassiona può evangelizzare: una Chiesa che non sogna non è Chiesa, ma solo apparato”. Guardate negli occhi le persone perché la fede è una questione di sguardi. Non abbiate paura del diverso, perché la differenza non è mai sottrazione. E inginocchiatevi accanto a chi è caduto, perché per rialzarsi ed educarsi bisogna farlo insieme, da terra.
Termino con un’accelerata. Roma è stata anche l'incontro con l'arte di Caravaggio nella “Chiamata di San Matteo” e con il dolore all'ospedale pediatrico Bambino Gesù, è stata il quasi sputare il pranzo addosso al Presidente nazionale di AC Matteo Truffelli, è stata una croce riscaldata e umanizzata da preghiere e speranze, è stata un meravigliarsi ancora una volta in piazza San Pietro e sul Tevere, è stata guardare una giostra girare e una maglietta rossa come la passione per questa associazione, è stata piangere, ridere, divertirsi, stare bene, pregare, avere caldo e freddo e sonno e fame, tanta fame, sempre fame. E ho ancora fame, sarà che è mezzogiorno, ma a me mettermi al servizio fa venire l’acquolina in bocca, mi fa sognare qualcosa di grande assieme ai miei compagni di cammino, mi fa prendere gusto e mi fa venire voglia di esserci.
Concludo, stavolta sul serio, riassumendo la mia convinzione di unicità di ognuno di noi con un pezzo di una canzone di Caparezza, Ti sorrido mentre affogo, che dice: “Non mi interessa essere capito. Mi interessa essere, capito?”. Che sia questo un augurio per ognuno di voi lettori a ripensare a ciò che avete vissuto e a ciò che vorrete vivere, mettendoci semplicemente voi stessi prima di tanto altro.
Viva l’Azione Cattolica, viva l’ACR, viva Gesù!
P.S. volevo condividere una piccolezza: il venerdì sera abbiamo fatto un gioco a tema culinario in cui eravamo coinvolti tutti noi partecipanti divisi per gruppi. Beh, il gruppetto di cui faceva parte la comitiva della nostra diocesi, assieme a qualche altro educatore del triveneto, ha vinto il gioco ed è stato premiato per fantasia, originalità e simpatia!! Mi dispiace solo per la ragazza di Reggio Calabria che ha messo entusiasmo più di tutti e non sa che abbiamo vinto perché al momento della premiazione domenicale era già tornata a casa!
Giovanni Giusti