Se dovessi descrivere le caratteristiche che presenta una persona che ha bisogno di un campo per la formazione al servizio, sicuramente parlerei della me dell'estate del 2019. Una me che senza alcun dubbio, non è mai stata così incerta sul proprio futuro come nei mesi prima del campo.
Nonostante gli appuntamenti dell'anno di orientamento 2019 fossero pieni di spunti e pienamente validi, le mie idee al momento del patto non erano affatto chiare, ed è per questo che optai per la scappatoia: il cammino di ricerca. Non che non fossi davvero in una fase di ricerca, ma certamente quel patto non ne sanciva l'inizio.
Così, nella confusione, mi ritrovai ad iscrivermi al campo soltanto una settimana prima dell'inizio.
Non ho mai capito cosa, ma c'è qualcosa che succede ai campi, qualcosa che ti porta più vicino a Dio, a te stesso, all'A.C. Lo stesso è accaduto anche quest'anno, con la differenza che è stato un campo più concreto, con lo scopo di insegnare fatti, indirizzare, spiegare come potrebbero andare le cose, chi potresti diventare, quali occasioni cogliere, quali invece lasciare.
Dal 12 al 18 agosto, con l'aiuto di un'equipe da favola, il campo FAS ha avuto luogo, condividendo spazi e gran parte delle attività con il campo parallelo, il Base 1, e condividendo qualcosa in meno con il Base 2.
È una tipologia di campo che è nata da poco, e con davvero pochi iscritti rispetto a quelli che effettivamente meriterebbe. È qualcosa di nuovo, che quest'anno ha contato sei ragazzi e due educatori. Pochi ma buoni, questo è certo.
Durante la settimana abbiamo iniziato tutti e sei ad aprire gli occhi e renderci conto del perché eravamo lì, in che cosa ci differenziavamo dagli altri ragazzi che stavano seguendo invece il Base 1. Quello che ci accomunava era il concetto che nessuno sapeva cosa o come, ma tutti noi volevamo dedicarci agli altri attraverso un servizio che non fosse quello di educatore, ma allo stesso tempo rimanere in A.C.
Eravamo arrivati per seguire un percorso individuale e ci siamo ritrovati a volere con tutte le forze un obiettivo comune: quello di indirizzare la grande macchina dell'Azione Cattolica, verso un tipo di servizio che ora come ora è poco presente, o che se c'è è individuale e quindi non si rispecchia in un gruppo vero e proprio.
Gli educatori, Stefano e Nicole, si sono occupati di arrivare a farci scoprire questo concetto pian piano durante la settimana, unendo informazioni e concetti utili, all'esperienza vera e propria di servizio gratuito, con il solo scopo di aiutare gli altri e capire se veramente fosse quello che eravamo portati e chiamati a fare.
E così il sabato, il giorno prima della fine del campo, siamo arrivati tutti, con l'aiuto di educatori e ragazzi più grandi, alla conclusione che a questa nostra grande famiglia che è l'Azione Cattolica, ha bisogno di un qualcosa di più, di nuovo. Ha bisogno che i propri valori siano dimostrati in modo più vasto, che questi siano da ispirazione nelle scelte di servizio che si vanno a fare.
Io per prima, a causa della mia insicurezza sul futuro, mi stavo allontanando dall'A.C., convinta che per me non ci fosse spazio, dal momento in cui l'educatrice non la volevo fare per nessuna ragione, e sono certa di non essere stata l'unica. È per questo che il mio obiettivo, come l'obiettivo di Matteo, Claudia, Federico, Chiara e Theo, è diventato quello di creare qualcosa in cui qualcuno come la me confusa e disorientata di questa estate, avrebbe potuto trovare una soluzione, una strada, un aiuto. Ciò che cerchiamo è un modo di fare A.C. che non sia attraverso il servizio educativo, ma negli altri mille modi che si possono trovare per spendersi per gli altri, continuando però ad avere un gruppo, a sentirsi parte dell'associazione, a coltivare la propria fede.
Come dice una canzone “non so dove finirà questo viaggio, ma so da dove cominciare”, forse non sappiamo bene dove finirà, ma siamo certi che, restando uniti, il viaggio avrà un finale con una vista mozzafiato.
Chiara Del Bianco